La tempesta

Il fango depositato sulle cose fa un effetto difficile da spiegare. E’ come se tutto fosse entrato in un grosso tritacarne. Gli oggetti, le case, le persone, gli animali, sembrano tutti tritati e invecchiati. Camminiamo in queste strade silenziose, sovrastate dalle macerie, ma non come in una discarica, le discariche sono chiassose di mille oggetti che riconosci. Qui gli oggetti sono come masticati e risputati, il fiume sembra un gigante che ti cammina addosso, pesticcia paesi e persone.

In mezzo al vorticoso brulichio di persone che dal 3 novembre sono accorse nella piana fiorentina, fin dalle prime ore c’era un sussurro ripetuto: adesso è il tempo di spalare, ma la rabbia che abbiamo dentro ce la portiamo con noi.

I responsabili di questo disastro hanno nomi e cognomi, li conosciamo bene e da decenni subiamo le conseguenze delle loro scelte.
Ogni piano urbanistico che ha deciso la continua erosione del suolo, ogni assessore che ha firmato l’intombamento dei canali, l’inesorabile susseguirsi di grandi opere voraci di spazio, il sogno industriale che doveva cancellare le campagne, l’edificazione massiccia e la programmatica distruzione di ogni spazio verde.

Si dice che nel XIII secolo furono i ricchi notabili fiorentini a decidere di disboscare completamente la foresta di Monte Morello, scelta perpetrata anche nei secoli successivi dai Medici, che ne depredarono tutto il legname rimasto. Degli enormi dissesti idrogeologici che ne conseguirono, gli abitanti della zona pagarono gli effetti per almeno cinque secoli.

Questo fare predatorio nell’epoca moderna si è moltiplicato diventando abitudine, legge e normalità.

Le industrie esigono di occupare la terra, di inquinare i fiumi, di produrre rifiuti. La bolla dell’edilizia e dell’overturismo necessita di saturare ogni spazio libero, ogni centrimetro cubo non dedicato al profitto è un centrimetro cubo perso.

In questa torrenziale pioggia di cemento, nei decenni sono state spianate montagne, divorato rocce, deviato falde, prosciugato intere regioni (vi ricordate il Mugello?), costruito su bacini di espansione, sepolto canali e fossi, svenduto tutto quello che si riusciva, impedito qualsiasi pianificazione collettiva.

La narrazione usata per giustificare questo immenso disastro racconta di una natura matrigna, pericolosa, che l’essere umano deve dominare per non venirne schiacciato. Le orse diventano assassine, le montagne minacciano frane irrazionali, i fiumi si seccano o ti inseguono fino in casa, i venti abbattono gli alberi.
Il cambiamento climatico, come piovuto dal cielo, si combatte con le ruspe devastando i crinali delle montagne per costruire giganteschi parchi eolici.
La causa diventa soluzione: un disastro ecologico si ripara con un altro disastro ecologico.

Quello che si dovrebbe fare.
Quello che si dovrebbe fare è accettare di rinunciare al profitto, dare vera priorità alla tutela dei territori, riconoscere che l’essere umano è parte di un delicato equilibrio che ha continuamente messo in pericolo per arricchire una percentuale (tra l’altro esigua) di persone impoverendo tutte le altre.

Vista la corsa al consumo di suolo, da anni in vertiginoso e costante aumento, non basta neanche smettere di costruire (cosa che peraltro non è neanche lontanamente paventata), è necessario demolire. E’ necessario ripristinare i bacini di espansione, progettare sistemi di regimentazione delle acque, curare tutto il delicato equilibrio idrogeologico che in questi anni è stato distrutto.

I nostri territori sono contesi da partiti il cui unico intento è capitalizzare la crisi, cavalcare un imbarazzante greenwashing a cui non crede più nessuno, tirare a campare fino alle prossime elezioni. Nel frattempo si continua a lasciare totale campo libero ai privati, ai loro interessi e ai loro scempi, concedendosi al massimo qualche finta lacrima facendo sempre bene attenzione a non sporcarsi le scarpe col fango.

Gli aiuti che arriveranno, se mai arriveranno, non saranno mai abbastanza. Non compenseranno neanche lontanamente le immense perdite che in questi decenni stiamo subendo, alcune delle quali disperatamente irreversibili.

A chi ha perso tutto in questa ennesima emergenza, va il nostro profondo abbraccio solidale, le nostre energie e tutto il sostegno che riusciamo a dare. 

A chi questa crisi l’ha provocata e continua a farne sistema, va la nostra enorme rabbia e l’augurio di un’infelice estinzione, cancellati magari da un mondo più equo, libero e giusto.

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