Democrazia senza popolo / La prevenzione della paura

In questo presente distopico è per me difficile avere un idea precisa, sono maggiori i silenzi, che contemplano i disagi, la rabbia, i racconti di chi sta in prima linea. La loro rabbia si ripercuote su di me come fosse la mia. Non è giusto che in virtù del nefasto denaro le persone possano essere sacrificate. Gli ospedali sono in difficoltà, infermieri e dottori sono costretti a turni di 18 ore. I reparti covid sono stati allestiti in pochi giorni, come se nessuno si aspettasse una seconda ondata, come se alla statistica non spettasse un ruolo di rilievo in questa società calcolante. Chi lavora in un reparto covid non può fare pipi, otto ore lavorando senza fare pipi. Nelle industrie il tempo trascorso in casa in attesa di un tampone viene detratto dalle ferie. Rabbia e impotenza i sentimenti più dannosi per l’umano. È evidente che l’aggravante di questa situazione è la mala gestione degli affari pubblici ed è uno slogan ricorrente, non solo adesso. E non solo adesso dobbiamo combattere.
Viviamo un presente illusorio. Pensiamo di vivere all’interno di uno Stato di dritto, cioè uno stato che si è fatto carico di essere garante dei diritti individuali. Questo assioma è largamente criticabile ma esso è foriero di conseguenze. Una di queste è la spinta verso l’inoperosità dell’individuo. Se nella mia rappresentazione mentale lo Stato tutela il mio essere nel mondo e definisce i diritti e i doveri e ancora garantisce il loro rispetto tramite la legge e il monopolio della forza fisica, la mia azione non è richiesta. Il diritto subisce una “istituzionalizzazione”: le pretese individuali slegate da una formalizzazione tecnica (quella di un giudice) perdono la loro cogenza. L’istituzionalizzazione del torto politico squalifica le istanze partecipative del popolo: quei torti che originano la loro causa nell’errata organizzazione sociale per tramite del governo, non possono essere risolti tramite la figura di un giudice esperto.

La mancanza, causa del torto subito, non risiede in una mancanza individuale ma in una mancanza organizzativa originatasi nella mala-gestione statale. In virtù di ciò la risposta a questa mancanza deve essere sociale, deve originarsi dal sociale e dirigersi verso lo statale. Ogni riduzione di un torto sifatto a mancanza individuale è la morte della politica. Garanzia di un ordine in cui non possa più comporsi un “popolo terzo” che controlli e gestisca i processi decisionali. Questo annichilimento delle massa slegata da se stessa e ridotta a individuo isolato è uno dei tratti distintivi del mutamento sociale che ha determinato la trasformazione del panorama democratico. Negli ambiti teorici questo mutamento è rappresentato dalla comparsa del suffisso post. Viviamo in una post-democrazia dato che i fondamenti dell’agire democratico vanno scomparendo.
Affinché vi sia democrazia è necessario che il popolo, ossia il demos, riesca a far trapelare la sua voce, riesca a prendere parte alle decisioni riguardanti il bene della comunità. Questa voce ovviamente non è richiesta ma deve essere conquistata, deve rendersi visibile in spazi di dissenso pubblici. Fintanto che ciò non si verifica, non possiamo ritenere di vivere in un paese democratico bensì in un oligarchia, ossia il governo dei pochi che hanno il naturale diritto di governare su coloro che hanno il naturale diritto di essere governati. Dico naturale perché a questo sgretolarsi del senso democratico sembra associata l’idea che vi sia una naturale destinazione dei ruoli, che vi sia cioè per caratteristiche di nascita una legittimazione della disuguaglianza. Ma il fulcro politico del concetto di democrazia risiede proprio in quest’intercambiabilità. L’interscambiabilità tra il ruolo di governante e governato: tutti in quanto esseri dotati di logos siamo capaci di articolare e comprendere argomentazioni discorsive. In questo senso la democrazia è anche anarchica, ossia libera, senza scopo an arché. E coinvolge scardina quella destinazione naturale affermando che, in virtù dell’uguaglianza degli esseri parlanti, chiunque è in grado di governare, chiunque è in grado articolare argomentazioni logiche, e che quindi chiunque è in grado di pensare al bene comune. Non fraintendetemi non tutti simo uguali e la diversità è una ricchezza, ma tutti siamo in grado di palare. Perché potremmo se non per accordarci sul vivere comune? Perché potremmo parlare se dobbiamo soltanto obbedire?
Con più precisione rispetto alla prima definizione di oligarchia potremmo affermare di trovarci in una tecnocrazia, ossia il governo di coloro che in funzione delle loro capacità tecniche specializzate hanno il diritto di governare. Questa tecnicizzazione dell’ambiente politico rende impossibile la democrazia, rende impossibile la partecipazione popolare riguardante le scelte comunitarie. Caratteristica del demos è la mancanza di ogni titolo per governare; da ciò consegue, in questo panorama tecnocratico, l’illegittimità di governare. Questa situazione evidenzia la difficoltà di rapportarsi a un sapere tecnico senza avere i mezzi per comprenderlo fino in fondo. Questa mancanza ci pone in una condizione di passività e obbedienza. Come sempre in un mondo dominato dalla legge il nostro pensiero non è richiesto. Siamo come robot, destinati a uno spazio e a un tempo. Ma non eravamo persone? Piccoli cosmi in armonia con il più vasto universo? Io credo nelle persone e no nei robot. Credo che tutti abbiamo paura, per i nostri cari, per i più deboli e già questo sentimento potrebbe essere un principio regolatore dell’azione, se sostenuto da una buona informazione. Anche quest’ultimo tasto dolente delle nostre società evolute o dis-evolute. 


Siamo stati costretti all’aria stantia delle nostre abitazioni, pena 400 euro grazie. Ma la quarantena non è uguale per tutti: abitazioni sovraffollate, violenza domestica, violenza su minori, sono realtà che come confindustria, non si sono mai fermate. E dove possono trovar sostegno se anche solo alzare il telefono senza dare nell’occhio è difficile. Perché non potremmo uscire a fare una passeggiata nel bosco? Chi avremmo dovuto contagiare? Fortunatamente il nostro tessuto urbano è contornato da floridi boschi ed è così in tutta Italia.
Forse è troppo tempo che l’umano ha asservito la propria intelligenza e non è più in grado di usala. In questo periodo, più che mai, dobbiamo fare leva su intelligenza e responsabilità, no il contrario. Questa situazione evidenzia l’aporia della legge. Questa non può che essere oggettiva, ma l’oggettività non esiste al mondo, se non nella legge che però dovrebbe applicarsi al mondo e alla vita, ancor più soggettiva. La legge si è rivelata, come sempre, indifferente alle esigenze personali e alle peculiarità di ogni ambiente. 
E non è vero che non c’è senso civico: per strada ti scansano, tutti lontani, mascherine e disinfettante. Penso che l’immagine di inciviltà sia stata strumentalizzata dai meedia per rendere il popolo nemico di se stesso e disfare il tessuto sociale. 
Ma di chi è la responsabilità? Lo sappiamo e dobbiamo urlarlo più forte!

LA PREVENZIONE DELLA PAURA

Viviamo in un mondo in cui valori come antirazzismo, antisessismo e l’abolizione di un sistema patriarcale sembrano solo slogan pronunciati per fare bella figura. Pubblicità che ci mostrano che anche gli uomini puliscono la cucina, cartoni animati per bambini che raccontano di lealtà e rispetto per il prossimo, serie tv, strapiene di famiglie allargate, in cui le diversità sembrano solo punti di forza piuttosto che debolezze. Eppure, nonostante tutti questi “buoni esempi”, nel mondo reale milioni di donne subiscono ancora maltrattamenti e abusi, i profughi vengono lasciati al largo su barconi pericolanti perchè il governo decreta che è illegale soccorrerli, e ovunque la violenza e i soprusi dilagano, manifestandosi con eventi più o meno eclatanti, con una forza che sembra impossibile contrastare.Non conosco e non riesco a capire il perchè di questo grande divario tra ciò che sembra essere nell’opinione di tutti “la cosa giusta” e il grande schifo che invece ci circonda. Il periodo storico che stiamo vivendo, senza dubbio assurdo e senza precedenti in tempi recenti, ha ovviamente ampliato questo mondo di ingiustizia e orrori, costringendoci a riflettere ancora una volta su ciò che ci accade intorno. In questi mesi ho visto tante persone smarrite, seppellite sotto dpcm nuovi ogni settimana ma tutti ugualmente incomprensibili e spesso insensati, persone intrappolate dalla paura forse non più primariamente del contagio ma di prendersi una multa, giornalisti che sembrano aver trasformato il loro lavoro nell’attività ben più divertente di seminare il panico, e come ultima ma meravigliosa costante, un governo (sicuramente il nostro, ma scommetto non sia l’unico) che non sembra preoccuparsi realmente della salute dei suoi cittadini ma più che altro della sua economia. Ancora una volta abbiamo assistito a una sopraffazione e presa di potere da parte di chi, facendosi “tutore della salvezza”, ha poi preferito imporre limitazioni, tra l’altro incostituzionali, piuttosto che cercare di fornire gli strumenti per una gestione quantomeno più umana della pandemia.Potremmo affrontare la questione sotto innumerevoli punti di vista (di chi sono le responsabilità? si poteva evitare almeno in parte il precipitare degli eventi? ci sarebbero stati modi migliori di gestire questa situazione?) ma sicuramente non finiremmo più di discuterne o di arrabbiarci. 

Parliamo allora di prevenzione, ne ragioniamo tanto a livello medico, ma si potrebbe pensare di attuarne una contro lo schifo dilagante che sta invadendo la nostra società? Sicuramente una soluzione unica non c’è ma mi piace pensare che fornendo più mezzi e conoscenze si potrebbe contribuire almeno in parte a radicare quei valori che tanto inseguiamo. Purtroppo però, partendo dalla scuola, lo strumento che mi pare si presti meglio a far crescere le persone anche a livello sociale oltre che conoscitivo, ci viene insegnato a dare giudizi sugli altri in base a numeri, arbitrariamente assegnati e poco contestabili, piuttosto che a ragionare ed analizzare personalmente il mondo che ci circonda; e come per la sanità, altro ente pubblico già in difficoltà, la scuola esce ancora più in crisi dopo lo scontro con Sars-CoV-2, con migliaia di bambini e ragazzi costretti a sacrificare in gran parte la loro istruzione, obbligati a seguire lezioni online da casa, con pochi strumenti per realizzare quale sia l’entità del danno che stanno subendo, e di conseguenza poca necessità di reagire o ribellarsi.Mi ritengo una persona fortunata e la pandemia non ha influenzato, almeno per ora, in modo così significativo la mia vita; questo mi ha permesso di analizzare la situazione che stiamo vivendo da un punto di vista più distaccato, cercando di indagare i motivi che hanno spinto i potenti verso certe scelte piuttosto che altre; spesso non ho trovato dietro le loro azioni (tranne forse nel primo lock-down, vera misura emergenziale) tutta questa logica anti-contagio che viene invece richiesta e imposta ai singoli cittadini, quanto piuttosto una voglia e necessità di prevaricazione, controllo e indirizzamento della nostra società verso un capitalismo e un’obbedienza ancora più forti. Forse il cambiamento è possibile e forse è anche già in fase di attuamento (anche se in maniera lentissima e quindi poco visibile). Lo vedo negli occhi delle persone con cui condivido esperienze e confronti, e spero di vederlo sempre di più intorno a me e di farne parte. La conoscenza e l’informazione sono i nostri strumenti più forti, riprendiamoceli e facciamo nostro questo mondo!

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