[ non ammalatevi ]

Quando si vuole risolvere un problema, è sensato partire dal problema stesso e non dagli effetti che causa:
il problema non è evitare una pandemia, nel corso della sua lunga storia l’umanità ha conosciuto moltissime pandemie, conviviamo quotidianamente con virus e batteri, le malattie sono parte della nostra storia e continueranno ad esserlo.

Con tutta la propaganda che ci subiamo ogni giorno sul progresso, su quanto l’umanità si è evoluta a ritmi incredibili, su quanto siamo invincibili e spacchiusi, ci saremmo aspettate di reggere un tantino meglio e che fossimo ben più preparate. E invece abbiamo scoperto che la nostra società capitalista si fa mettere in ginocchio come niente da un virus e che il nostro sistema sanitario non è in grado prendersi cura di noi. Quello che di fondo ci viene detto ormai da quasi un anno è: “non ammalatevi per carità”. 
Ma quando il tuo sistema immunitario è talmente debole da implorarti di non ammalarti, il problema è la tua immunodeficienza, non la malattia.


Il problema quindi, dicevamo, non è evitare una pandemia, il problema è che il nostro sistema sanitario è carente da decenni, malato e zoppo, e non è minimamente in grado di reggere l’urto di un lavoro straordinario come quello impostogli da una pandemia. 
Questo dato E’ il problema, e si parte da qui per capire anche come mai i vertici delle istituzioni sanitarie e politiche hanno colpevolmente scelto di non intervenire in anticipo, quando già da anni in molti avvertivano del probabile arrivo di una simile pandemia e degli effetti che avrebbe avuto.

 Nessuno voleva ammettere che la società capitalista non è un sistema impostato per trovare soluzioni ai problemi, ma piuttosto un fragile castello di carte pronto a crollare travolgendo la base che lo tiene in piedi. Per correre ai ripari, nel pieno dell’emergenza, invece di lavorare in maniera logica per invertire la tendenza, solidificare il sistema sanitario e aiutarlo a reggere meglio l’impatto, si sta scegliendo di mantenerlo così com’è. Anche di fronte a una tale catastrofe e a migliaia di morti, tutto deve rimanere com’è.

Per questo nel discorso pubblico l’attenzione è tutta rivolta alle responsabilità della cittadinanza e ci si tiene lontani dall’analizzare nel complesso la situazione sanitaria e la sua organizzazione: si butta lì qualche accenno a qualche miglioramento che si potrebbe fare (e che inspiegabilmente non arriva mai), si scarica il barile delle colpe tra questa e l’altra istituzione (è colpa del ministero, no è colpa delle Regioni, no è colpa delle ASL, no è colpa dei medici di famiglia…), si invoca la tecnologia come fosse una bacchetta magica (abbiamo ben visto come si è rivelata utile Immuni) e quando proprio non si sa più che dire si torna a gridare che il problema è che noi non dobbiamo ammalarci, e che se ci incaponiamo a farlo è colpa nostra.

I sacrifici, i lockdown, la caccia all’untore, sono messi al centro del discorso politico non perché sono soluzioni: ma perché sono gli unici cerotti possibili su una barca che affonda e che si continua a non voler riparare nella sua struttura. Il tritacarne economico che ne deriva ha le sue origini in questo, e ignorarlo rende spesso la nostra analisi vaga e poco efficace.
Lascia un po’ di amarezza vedere che le nostre lotte sono concentrate sugli effetti del lockdown, ma spesso non hanno la stessa rabbia e chiarezza nell’esigere immediatamente un cambio di paradigma sulle politiche sanitarie.
I pochi medici e operatori sanitari che riescono a trovare le parole per descrivere cosa sta succedendo (e che cercano da mesi di far ascoltare le loro soluzioni) sono troppo spesso lasciate da sole anche dai nostri movimenti. Eppure invece dovremmo essere il loro megafono, alle loro rivendicazioni si dovrebbe sommare la nostra rabbia nel vederli inascoltati.


Del resto che la sanità pubblica italiana sia messa male è ormai quasi un luogo comune. Si legge perfino sui giornali, si dice al bar (quand’è aperto) e ci se ne duole in televisione. Lo si dice alzando le spalle, come se si trattasse di una piaga arrivata insieme alle cavallette, “la malasanità”, e come se in qualche modo non ci si potesse far niente. L’ineluttabile e intricatissimo problema della mancanza di personale sanitario, l’insondabile mistero del numero di terapie intensive tagliate.

ll giornalismo italiano alterna candore stupito a generica indignazione senza colpe, si inonda il discorso pubblico di cifre, statistiche, dati mai verificabili, numeri e confronti generici. E’ un discorso complesso, è certo un argomento difficile, dobbiamo capire che, non possiamo certo..
E con questa complessità, con questo borbottio confuso, con questi colpevoli innominati senza mai un volto, la politica sfugge alla responsabilità e tutto rimane nel vago.
Ma il discorso non è affatto complesso. E’ invece estremamente semplice.

Il servizio sanitario nazionale è in questo stato perché si continua a volere che sia così. Non ci sono sviste, ci sono invece precise decisioni, le cui conseguenze pesano sulla pelle di noi tutte e provocano morti, molti morti.
La sanità pubblica italiana è un colabrodo martoriato da decenni di saccheggi. È stata tagliata, sezionata, riaccorpata, le sono state tolte tutte le risorse possibili. Ma questo non sarebbe ancora sufficiente a spiegare del tutto la situazione in cui ci troviamo.

A monte c’è la decisione di tramutare il servizio sanitario nazionale in un’azienda, con tutto il solito corredo di favole che ne racconta i vantaggi, i benefici, l’efficienza. Si è passati dal concetto di cura a quello di servizio, talvolta prestazione, la salute è diventata merce, le patologie si classificano in base a quanto rende economicamente curarle. A partire dal taglio dei finanziamenti, lo scenario è rotolato giù nel burrone: blocco del turnover del personale, costante riduzione dell’offerta pubblica, restringimento dei reparti, aumento spropositato dei ticket, migrazioni di massa dal settore pubblico a quello privato..

Si è scelto di costruire un sistema sanitario basato sulla cura dell’acuto e non del cronico, non sulla prevenzione o sulla tutela del benessere complessivo della persona. La sanità territoriale è stata smantellata, si è voluto mettere al centro i grandi ospedali e utilizzarli come imbuti dove convogliare ogni richiesta di cura. I grandi ospedali sono diventati centri di potere, pachidermiche strutture piramidali con ai vertici le grandi star della medicina, che si contendono soldi, ribalta e spazi televisivi.
I medici di famiglia sono diventati meno che un ufficio informazioni o uno smistamento clienti, le ASL sono oasi lontane, l’igiene una chimera ingarbugliata in sé stessa, gli esami e le visite specialistiche un lusso riservato a chi ha soldi. I buchi sono talmente tanti che è difficile anche solo immaginare come riuscire a tapparli tutti.

La candida sincerità del presidente della Regione Liguria, che si lascia sfuggire un “gli anziani non sono indispensabili”, centra il cuore del problema: è indispensabile chi produce soldi, non chi ne fa spendere.
La cura della persona, così come ogni altro bene pubblico, è e resterà sempre una spesa inaccettabile agli occhi di chi deve ricavarne profitto. Con buona pace di Ippocrate e dei suoi amici fricchettoni idealisti.

E immersi in questo scenario disastroso, come dicevamo, ci sono i medici, gli infermieri e i ricercatori.
Se ci fossero degli eroi tra il personale medico, sarebbero dei fanti, la tradizionale carne da macello usata per coprire la ritirata dei generali che quella guerra l’hanno provocata. Perché se vi piacciono le metafore di guerra, almeno si parli della guerra vera, quella vigliacca che uccide, stupra e mutila in nome del potere.
Deve essere chiaro a tutti e tutte che se in Italia stanno morendo centinaia di operatori sanitari, non è per un danno collaterale, ma per una scelta precisa e reiterata.

Se volessimo trovare delle soluzioni al problema dovremmo avere il coraggio e la volontà di togliere il profitto dal discorso. Dovremmo tornare alla sanità territoriale, rendendola ancora più vicina, dovremmo attivare e potenziare le USCA e i GIROT (dov’è stato fatto i risultati si sono visti eccome), dovremmo sbloccare il turn over del personale, assumere stabilmente in modo massiccio e formare come si deve, dovremmo mettere in piedi sistemi di contact tracing fatti da umani che parlano con altri esseri umani valutandoli caso per caso e smarcando il personale sanitario che è già fin troppo sovraccarico, requisire (non affittare!) immediatamente strutture e strumentazione delle cliniche private, mettere le mani in modo pesante e definitivo in quell’ignobile affare che sono la maggior parte delle RSA private. Il sistema sanitario dovrebbe essere (auto)organizzato da chi ci lavora e se lo vive ogni giorno. Sono loro ad essere perfettamente in grado di indicare con precisione cosa fare e come, non qualche manager aziendale il cui unico criterio decisionale sarà sempre tagliare le spese e aumentare i profitti.


Di numeri ne leggiamo fin troppi, ma vogliamo ricordare una sola cifra, semplice e simbolica: un solo caccia F35 costa allo stato italiano quanto 7.000 ventilatori polmonari. E siccome siamo in guerra, probabilmente noi adesso al virus gli spareremo con i nostri splendidi aerei.

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